Come noto, l’obiettivo del Green Deal è quello di azzerare le emissioni di CO2 entro il 2050. La sua versione agricola, “From Farm to Fork” (F2F) vuole ridurre del 50% l’uso dei fitofarmaci e degli antibiotici per gli animali allevati, del 20% l’uso dei fertilizzanti e del 10% l’uso delle terre coltivate a favore della biodiversità, infine l’estensione dell’agricoltura biologica al 25% della superficie totale. Non si conosce quale sarà la data per stabilire le quote di partenza per calcolare le riduzioni di fitofarmaci, antibiotici e fertilizzanti, né come queste verranno conteggiate per le aziende.
Saranno trattate allo stesso modo le aziende che hanno attuato tutte le tecnologie disponibili per raggiungere gli obiettivi di sostenibilità e quelle che utilizzano tecniche obsolete, penalizzando quelle migliori? O saranno stabiliti dei livelli massimi di utilizzo, indipendentemente dalla enorme variabilità dei terreni, dei microclimi e delle specie coltivate presenti in Europa? Gli studi sui risultati produttivi di queste imposizioni non sono stati eseguiti, o non sono stati divulgati. Sono ancora in discussione i provvedimenti da inserire nella PAC per compensare le perdite produttive che si verificheranno. Il periodo, già breve, di dieci anni per adottare le nuove normative è già comunque ridotto ad otto, visto che la nuova PAC non partirà prima del 2023.
Se a tutte queste domande per ora non vi sono risposte dalla UE, qualcuno all’estero si è occupato di ricavare delle previsioni sui risultati attesi a livello dell’alimentazione mondiale.
Danni ambientali rilevati dalla rivista Nature
Sulla rivista Nature (Vol 586 | 29 October 2020) è comparso un articolo dal titolo “Il Green Deal europeo esporta in altre nazioni i danni ambientali”. Questo è già stato fatto da decenni con la delocalizzazione delle produzioni industriali più inquinanti, ed in parte con le importazioni a dazio zero di derrate alimentari prodotte con tecnologie meno costose ma inquinanti, che hanno penalizzato l’agricoltura Europea, tanto da indurla all’abbandono dei terreni scoscesi e/o meno produttivi. Viene segnalata la grande quantità di soia, olio, latticini, cereali ed altre derrate importate. Il risultato dal 1990 ad oggi è stato un incremento delle foreste europee di 12 milioni di ettari (5 solo in Italia) e la contemporanea distruzione, verificatasi principalmente in Brasile, Argentina e Indonesia, di 11,3 milioni di ettari delle loro foreste.
Recentemente USDA (ministero dell’agricoltura degli Stati Uniti) ha elaborato delle simulazioni sul possibile impatto del F2F europeo sul resto del mondo (Economic and Food Security Impacts of Agricultural Input Reduction Under the European Union Green Deal’s Farm to Fork and Biodiversity Strategies – N°30 – November 2020). Lo studio ipotizza tre scenari: (1) applicazione solo in Eu, (2) applicazione delle regole EU anche da parte dei campi degli altri Stati dedicati a soddisfare le importazioni in EU, (3) l’applicazione del F2F in tutto il mondo. Lo scenario 2 è quello previsto dal F2F. Visto il peso dell’Europa sul commercio mondiale delle derrate alimentari, tutti gli scenari considerati avranno un impatto sull’alimentazione degli attuali 7,8 miliardi di abitanti della terra, previsti in 8,5 miliardi nel 2030. Il COVID ha causato 1,9 milioni di morti nel 2020, a fronte degli 80 milioni di crescita nel 2019 (i dati del 2020 non sono ancora disponibili)
L’impatto calcolato viene riassunto nella tabella 1:
Tabella 1
SCENARI | SCENARIO 1 – APPLICAZIONE SOLO EUROPA | SCENARIO 2: APPLICAZIONE IN EUROPA E SUOI PAESI FORNITORI | SCENARIO 3: APPLICAZIONE IN TUTTO IL MONDO | |||
EFFETTI | EUROPA | MONDO | EUROPA | MONDO | EUROPA | MONDO |
CALO PRODUZIONE | -12% | -1% | -11% | -4% | -7% | -11% |
AUMENTO PREZZI | 17% | 9% | 60% | 21% | 53% | 89% |
PRODUZIONE LORDA VENDIBILE AGRICOLA | -16% | -2% | 8% | 4% | 15% | 17% |
AUMENTO DELL’INCERTEZZA ALIMENTARE (PERSONE) | – | 22 MILIONI | – | 103 MILIONI | – | 185 MILIONI |
RIDUZIONE PIL MONDIALE IN MILIARDI DI DOLLARI | -71 | -94 | -186 | -381 | -133 | -1144 |
Anche USDA segnala la riduzione delle superfici coltivate in Europa ed un aumento nel resto del mondo. Il tutto è stato calcolato prevedendo l’utilizzo delle tecnologie correnti. L’impatto sulle difficoltà alimentari si renderebbe più evidente nei Paesi già in difficoltà.
Come gestire i fertilizzanti
Non si può certo affermare l’impossibilità di migliorare la tecnologia agricola fino ad ottemperare alle limitazioni imposte dalla UE senza perdere le quote di produzione previste, ma otto anni sono pochi. Inoltre non ci si potrà accontentare di mantenere la produzione attuale, dato che la popolazione mondiale continua a crescere. Non è saggio abbattere la casa vecchia prima di aver costruito quella nuova. Per ottenere le caratteristiche richieste alla “casa” nuova, occorre certamente sdoganare le nuove tecniche di miglioramento genetico, finora osteggiate dai soliti gruppi sedicenti ambientalisti, sviluppare fitofarmaci ad altissima efficacia con basso o nessun impatto ambientale, selezionandoli in funzione della tossicità e permanenza nel terreno, e non tra quelli “chimici” e quelli “naturali”, distinzione del tutto ideologica senza alcun fondamento scientifico. Serve inoltre migliorare la gestione dei fertilizzanti. Per questi esistono tre indirizzi, da seguire contemporaneamente.
Due sono già disponibili, ed ancora ampiamente migliorabili: utilizzo di fertilizzanti azotati a lenta cessione, per alimentare le piante in modo costante, ed applicazione dell’agricoltura 4.0, fino a ieri denominata agricoltura di precisione, per fornire le quantità ottimali di fertilizzante in base alle esigenze sito-specifiche delle piante e del terreno. L’altra è una scienza nascente, e riguarda la conoscenza dei rapporti tra le radici delle piante e la microflora che le circonda. Favorire la microflora utile serve a migliorare l’assorbimento delle sostanze nutritive, riducendo le perdite di azoto e migliorando la produttività delle coltivate. Per questo, occorre accelerare la sperimentazione su tutte le specie coltivate. Gli agricoltori hanno necessità di disporre di tecnologie efficaci “chiavi in mano”, piuttosto che di “elemosine” collegate a divieti che mettono a rischio la possibilità di fare bene il loro mestiere: produrre cibo buono, ed anche sufficiente a sfamare il mondo.
Articolo a cura di Giuseppe Sarasso tratto da Riso Italiano.